Ogni anno centinaia
e centinaia di donne "scauze e alluttate" con enormi
candele tra le mani partecipano alle processioni dei misteri.
Esse compiono il loro rito di fede, di speranza, di preghiera e di
ringraziamento alla Madonna perché interceda alle segrete istanze di ogni madre,
di ogni moglie, di ciascuna donna.
Pregano, piangono, soffrono, scalze non si curano della cera che, colando dalle
enormi candele, cade bollente sui piedi, perché vivono per tutta la processione
in magico dialogo con la Vergine.
Sono vestite proprio come la Madonna: un grembiule nero orlato al collo ed ai
polsi con un righello bianco, che ogni sabato dell'anno indosseranno per
perpetuare il ricordo del rito.
Questo "lutto corale", questa espressione di cordoglio popolare che si carica di
un valore religioso-sociale caratterizza in maniera spettacolare le processioni
dei misteri.
Il peso delle candele delle pie donne, il dolore dell'andare scalze, la
mortificazione del partecipare al rito, la fatica dei congregati che sopportano
sulle spalle il peso delle immagini, sono pegni che l'individuo e la comunità
pagano quale riscatto del voto ripetuto da generazioni.
La partecipazione di tante donne potrebbe leggersi anche come la solidarietà
espressa dalle donne della città al dolore di una di loro, alla quale sono
vicine e fedeli da sempre.
Il loro ruolo, quindi, assume gli aspetti di partecipazione familiare al
cordoglio per la morte di Cristo, che le donne mediano insieme ai confratelli in
un rapporto di mutua solidarietà tra popolo e gruppi processionali.
A questi la gente si rivolge senza vergogna, perché in questa magica atmosfera
il dolore è di tutti.
Nessuno quindi rimane meravigliato quando qualcuno, con la voce rotta dal
pianto, si rivolge alla Madonna implorando grazie ed impegnando tutto il corteo
nel suo personale rapporto, che non deve essere mediato da alcuno.
Ed è in questo contesto che la Chiesa-istituzione assume il ruolo di tramite:
protagonista è il popolo, il dolore è degli uomini, la morte è di un Uomo ma
tutti la vivono in prima persona senza che nessuna gerarchia laica od
ecclesiastica cerchi spazi per ruoli di protagonista.
Testo tratto da P. Perrotta, La
Settimana Santa a Sessa Aurunca, Ferrara, 1986